Luigi Santini

La libertà, in realtà, non trova limiti in quella degli altri, ma si realizza insieme a quella degli altri”. Così giorni fa si esprimeva il Presidente della Repubblica.  Il monito di Mattarella mette in rilievo le profonde trasformazioni del concetto stesso di libertà. In effetti, il nuovo significato della libertà implica un perimetro più complesso nella visione dei diritti. Nella loro apparente semplicità le parole del Capo dello Stato invitano a riflettere su quanto sia necessario che ogni cittadino si sforzi di aprirsi ad una concezione solidaristica dei rapporti con gli altri. Occorre, infatti, partire dalla considerazione che, tradizionalmente, tanto nella dottrina giuridica quanto nella speculazione dei filosofi del diritto, la libertà veniva rappresentata quasi come un circuito chiuso: la libertà di ogni componente della società veniva limitata dalla libertà altrui: ciascuno nel suo spazio (più o meno vasto) come una monade leibliziana. Questa concezione “difensiva” iniziò a scardinarsi all’inizio del XX secolo allorché le leggi ampliarono i diritti di partecipazione (a cominciare dal diritto di voto), includendovi le classi meno abbienti. Da quel momento libertà, diritto, legalità si sono venuti incrociando, per cui soltanto leggi che indicano diritti e doveri di ciascuno assolvono al compito di tutelare la legalità. Già alcuni decenni fa Giorgio Gaber rovesciando la radicata convenzione tradizionale, che aveva, come riflesso, una sfrenata visione individualista, proponeva un ideale completamente diverso, fondato su un criterio solidaristico. Il grande cantautore affermava “la libertà non è star sopra a un albero, la libertà non è uno spazio libero, la libertà è partecipazione”.

A ben vedere il valore del concetto di libertà rinvia ai caratteri essenziali delle odierne democrazie, ma ha innervato il dibattito su questo tema già agli esordi della nascita degli Stati di diritto. Esattamente un secolo fa Giorgio Del Vecchio – uno dei massimi giuristi dell’epoca – affermava che negli Stati diritto «la legge ammette di dover essere superata o meglio integrata, col ricorso ai principî generali del diritto; i tra i quali ha il primo luogo quello che afferma il rispetto dovuto alla libertà, come valore assoluto della personalità umana». In tali parole si metteva il rilievo come la tutela della personalità degli individui dovesse trovare concretizzazione nei diritti. Ed, in effetti, la declinazione di “libertà partecipata” implica un nuovo perimetro dell’ampiezza dei diritti. Tra questi, in primo luogo, emergono il diritto al lavoro, all’istruzione e alla tutela della salute. Si tratta di diritti costituzionalmente sanciti, alla soddisfazione dei quali provvedono le Istituzioni pubbliche. Al di là del loro operato, occorre che la società civile cooperi all’adeguamento dei diritti rispetto ai bisogni che emergono costantemente, al variare dell’evoluzione sociale.

La legge deve tenere sempre presenti principî che richiamano valori etici e politici, poiché la libertà è un valore assoluto, in ogni tempo ed in ogni luogo. Senza di essa non può esservi né legalità né giustizia. Il nesso tra questi elementi venne sottolineato nel secondo dopoguerra da Piero Calamandrei, a giudizio del quale la legalità è condizione di libertà, perché solo la legalità assicura, nella misura meno imperfetta possibile, quella certezza del diritto senza la quale non può sussistere libertà politica.

Dunque libertà e diritto sono, nelle democrazie, il presupposto della legalità. Non sempre, peraltro, le leggi sono improntate a caratteri di giustizia (giuridica e/o sociale). In tali casi si parla propriamente di “leggi ingiuste” o di leggi “oscure”. Se si guarda all’ordinamento del nostro Paese non si può negare che esistano molte pecche e che una parte non indifferente della legislazione sia poco aderente all’ideale di giustizia. Di fronte a tale situazione si apre un bivio: negare effettività e valore a norme indesiderate, oppure battersi per cambiarle. La prima opzione implica un atteggiamento passivo, o volutamente non rispettoso delle leggi. All’opposto la seconda opzione implica la volontà di partecipare attivamente al miglioramento della legislazione e, di riflesso, all’ampliamento dei diritti.

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