Gabriele Salvatores e il ritorno di Casanova: «Il cinema mi ha salvato la vita»
«Nei momenti difficili l’idea di avere un film da fare mi ha sempre tenuto lontano dai brutti pensieri»
Imparare a fare i conti con il tempo che passa, venire a patti con la propria immagine che cambia, riconoscersi nell’altro in un gioco di specchi che assomiglia pericolosamente alla vita. Non a caso Gabriele Salvatores cita in apertura del suo nuovo film le parole sugli incantesimi infanti pronunciate da Prospero nella «Tempesta» di Shakespeare: «La forza che possiedo è solamente mia, ed è poca». Perché «Il ritorno di Casanova», liberamente ispirato al racconto di Arthur Schnitzler, si nutre di questi dualismi e di molto altro, come il gioco sottile tra seduzione e desiderio, o la sfrontata guerriglia tra la giovinezza e i segni impietosi della vecchiaia. Nel film prodotto da Indiana e Rai Cinema, che arriva giovedì in sala distribuito da 01 dopo l’anteprima al Bif&st di Bari, Toni Servillo è un acclamato regista alla fine della carriera che non ha alcuna intenzione di accettare il suo lento declino, Fabrizio Bentivoglio è un Casanova avanti negli anni che ha perso il suo fascino, non ha un soldo in tasca e non ha più voglia di girovagare per l’Europa. Le inquietudini e i dubbi dei due uomini, il venerato maestro in gara con un più giovane collega per il Leone d’oro di Venezia e il personaggio raccontato da Schnitzler e messo in scena dal regista, sono assai simili. E, parlando di loro, il premio Oscar Salvatores (che stasera presenterà il film al Modernissimo con Toni Servillo) parla anche un po’ di sé. Dice il regista: «Certo, tutti i film contengono qualcosa di chi li fa. Ai tempi di “Marrakech Express” potevo essere uno dei ragazzi che andavano in Marocco a trovare un amico».
E ora, cosa l’accomuna a Leo Bernardi, il cineasta interpretato da Servillo?
«Una serie di pensieri, ansie e paure che anch’io avverto al momento di fare i conti con il mestiere del regista. Da tempo pensavo di lavorare sul libro di Schnitzler, ma con gli anni ho cominciato a leggerlo in maniera diversa. Inizialmente mi aveva colpito il tema del doppio, carissimo allo scrittore austriaco molto amico di Freud, andando avanti sono emersi altri elementi, come il passaggio del tempo e la necessità di lasciarsi aperta qualche porta. Casanova è destinato a fallire nel tentativo di restare uguale a se stesso e nella scena di un duello particolarmente crudele realizza di essere vecchio, guardando il corpo nudo del giovane rivale. Invece il personaggio di Toni, pur essendo legato a un ego invadente e un po’ ridicolo nei capricci da eterno bambino, alla fine si lascia aperta una strada per il futuro. E tutto accade grazie a una donna. Perché la vita va più veloce del cinema e ti sorprende con segni importanti che bisogna saper cogliere».
Però nel film la vita reale è in bianco e nero, mentre il cinema è raccontato a colori.
In che senso?
«Corriamo il rischio di rifugiarci in un mondo fantastico che abbiamo creato per tenerci al riparo dal grigiore della quotidianità. Per anni l’ho fatto anch’io. Del resto, non era Fellini il primo a considerare il cinema l’antidoto a una realtà deludente?».
Alla fine, ogni regista è un creatore di mondi e, quindi, anche di illusioni.
«A me il cinema ha salvato la vita. In senso letterale. Tanti anni fa mi dissero che avevo poco da vivere e che avrei fatto bene a pensare di sistemare le mie cose.
Il ritorno di Casanova, liberamente ispirato all’omonimo racconto del 1918 di Arthur Schnitzler, “mi girava nella testa e nel cuore dai tempi del teatro e ricordo di averlo letto con interesse”, afferma il regista. “È uno dei romanzi più crudeli sul passare del tempo in cui Schnitzler si inventa un duello tra Casanova e un giovane tenente e in cui Casanova, solo quando lo vede morto a terra, realizza di essere vecchio”. Se Casanova (interpretato da Fabrizio Bentivoglio) è il protagonista di una parte della storia, dall’altra c’è Leo Bernardi (Toni Servillo), “un regista in crisi creativa, con l’invidia ridicola verso i giovani autori”.
Il ritorno di Casanova di Salvatores propone da un lato Leo Bernardi, acclamato regista (ma anche seduttore!) alla fine della sua carriera, di cui non accetta il lento declino; dall’altro il Casanova di Schnitzler, incredibilmente simile al primo personaggio, senza più il fascino e il potere di un tempo sulle donne. Inquietudini e dubbi simili per entrambi gli uomini che devo fare i conti con la vita, con il loro ieri, il loro oggi e il loro domani. Uomini che hanno sempre indossato una maschera e che ora si trovano costretti ad abbassarla e metterla da parte. “Una delle cose che mi ha colpito scrivendo, era che il personaggio di Casanova è destinato a fallire nel tentativo di ripetere se stesso. È un uomo rimasto legato a un modello che non c’è più. Mentre il personaggio di Toni Servillo è un seduttore, ha uno status di un certo tipo, ma alla fine apre una piccola porta sul futuro con un imprevisto che gli cambia la vita”, commenta Salvatores.
Il ritorno di Casanova è un racconto cinematografico sul tempo che passa ma anche sull’accettazione di questo. E se il tempo è l’argomento centrale, attorno ad esso c’è molto altro. C’è l’universo di Salvatores e non solo. Ci sono la crisi umana del regista, l’ossessione per il cinema, l’amore per le donne, c’è Shakespeare e c’è una parte della compagnia del Teatro dell’Elfo di Milano, quella che può considerarsi la seconda casa di Salvatores. E sulla casa in questo film va aperta una parentesi.
Come sempre il luogo in cui abita il protagonista diventa un personaggio importante del racconto ma in Il ritorno di Casanova la casa è qualcosa di molto più grande perché è viva, sente le emozioni del suo padrone e attraverso la tecnologia “parla” e agisce. “È il primo film in cui parlo un po’ di me ma non è autobiografico. Questa casa, che ho comprato circa tre anni fa, è domotica. Io sono sempre stato affascinato dalla tecnologia, da ciò che prende potere, dall’indie americano”, commenta Gabriele Salvatores. “È quel qualcosa che mi fa chiedere ‘è realtà o funzione? La vita è un sogno?’. Sono terrorizzato dall’idea che se diamo troppo spazio alla tecnologia questa a un certo punto ci sostituirà e per questo nel mio film ho voluto affrontare il discorso. Che una casa senta la malinconia è terribile ma non impossibile!”.
Rivalità tra vita e arte, tra giovinezza e vecchiaia. Gabriele Salvatores, dopo Tutto il mio folle amore e Comedians, è ancora una volta positivamente spiazzante. Cambia nuovamente sfumature e stile e realizza con Il ritorno di Casanova un gran bel film in cui cambiamento, umorismo e riflessione generazionale diventano una chiave affascinante e mai banale anche per celebrare un percorso artistico – quello di Salvatores – di metà secolo, sempre vario e mai uniforme.
Foto di Salvatore Canzanella