POMPEII THEATRUM MUNDI

OTTAVA EDIZIONE
20 giugno – 20 luglio 2025

un progetto del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
e del Parco Archeologico di Pompei

GOLEM

di Amos Gitaï e Marie-José Sanselme

regia Amos Gitaï

con Bahira Ablassi, Amos Gitaï, Irène Jacob, Micha Lescot, Laurent Naouri,

Menashe Noy, Minas Qarawany, Anne-Laure Ségla
produzione La Colline Théâtre National Paris

20 e 21 giugno ore 21.00
NOTTE MORRICONE
regia e coreografia Marcos Morau
musica Ennio Morricone

produzione Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto

4 e 5 luglio ore 21.00
ELETTRA
di Sofocle
regia Roberto Andò

con Sonia Bergamasco, Anna Bonaiuto, Roberto Latini, Silvia Ajelli, Imma Villa,
Paola De Crescenzo, Giada Lorusso, Danilo Nigrelli, Roberto Trifirò, Rosario

Tedesco, Simonetta Cartia

produzione Inda – Istituto Nazionale del Dramma Antico

Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
11, 12, 13 luglio ore 20.00
LISISTRATA
di Aristofane
regia Serena Sinigaglia

con (in ordine di apparizione) Lella Costa, Marta Pizzigallo, Cristina Parku, Simone
Pietro Causa, Marco Brinzi, Stefano Orlandi, Pasquale Montemurro, Giorgia
Senesi, Pilar Perez Aspa, Irene Sereni, Aldo Ottobrino, Salvatore Alfano,
Alessandro Lussiana, Stefano Carenza produzione Inda – Istituto Nazionale del

Dramma Antico
18, 19, 20 luglio ore

“…. Vengo da una famiglia in cui il cinema non era considerato una grande arte. Durante la
guerra del Kippur, il mio elicottero fu colpito. Il mio compagno che era seduto a circa un
metro e mezzo da me, fu decapitato da un missile siriano che penetrò il nostro elicottero.
Mi venne detto nel linguaggio molto asciutto dell’esercito che, statisticamente, il fatto che
fossi vivo era considerato un’eccezione. Allora decisi di sfruttare questo errore statistico e
di dire un paio di cose che avevo dentro e che mi turbavano”.
Biografia Amos Gitai
© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani 
«Regista cinematografico israeliano, nato a Haifa l’11 ottobre 1950. Nell’arco di quarant’anni di
attività, il cinema di G. si è affermato come strumento sensibile e politico di conoscenza e di
pensiero, in una linea già indicata da cineasti come Roberto Rossellini e Jean-Luc Godard (v.). Il
suo sguardo, situato da sempre nell’incerto confine tra documentario e finzione, si è soprattutto
concentrato sulla complessità geopolitica del quadro mediorientale, di cui ha indagato le radici
umane, culturali, filosofiche ed economiche, in una sorta di work in progress ancora in atto. L’uso
frequente del piano-sequenza, i prolungati carrelli in camera-car, le dissolvenze in nero e le
sovrimpressioni, il métissage continuo fra le arti, che attraversa politicamente e poeticamente le
sue immagini, hanno sempre contraddistinto il suo lavoro, fondato sulla necessità di impegnarsi in
una continua ricerca, tra identità e utopia.
Di origini europee (il padre, Munio Weinraub Gitai, era stato uno degli architetti del Bauhaus,
mentre la madre, Efratia Margalit, docente di teologia ebraica e studiosa di psicoanalisi, era nata
in Palestina da genitori russi), G. studiò architettura in Israele, conseguendo, poi, un dottorato
negli Stati Uniti. Nell’ottobre del 1973, quando divampò la guerra dello Yom Kippur, si arruolò
come volontario in un corpo di soccorso. L’esperienza diretta della guerra fu per lui determinante,
spingendolo a scegliere il cinema come mezzo privilegiato di espressione. Nei decenni Ottanta e
Novanta, prima soprattutto in Francia e poi tornando in Israele, G. ha costruito con il suo cinema
una cifra espressiva inconfondibile in cui si assemblano nella ricerca linguistica incentrata su un
montaggio ellittico e su un uso poetico-politico delle immagini e dei piani-sequenza i temi
dell’esilio, dell’emigrazione e della diaspora ebraica, indicando connessioni insolite tra
contemporaneità sociale e politica di Israele e la circolarità temporale della storia e della memoria
ebraica, disposte in una tessitura territoriale e simbolica, dove si intrecciano luoghi, spazi e tempi.
Esemplare in tal senso il progetto cui G. iniziò a lavorare con Wadi (1981), il primo di una serie di
tre documentari girati a intervalli decennali, di cui l’ultimo è Wadi. Grand Canyon (2001),
struggente laboratorio di visione politica e di approccio umano, in cui venivano assorbiti e rimontati
anche i due precedenti. È stato con Kippur (2000) che G., a molti anni di distanza da quella
guerra, ha inaugurato il suo lavoro degli anni Duemila, dopo la trilogia del ritorno in Israele ispirata
dalle tre grandi città israeliane: Zihron Devarim (1995; L’inventario, su Tel Aviv), Yom
Yom (1998; Giorno per giorno, su Haifa) e Kadosh (1999, su Gerusalemme), tutti film che offrono
un’interpretazione immediata del suo Paese, filmato con poetica crudezza, fin dentro le sue
contraddizioni più profonde, mettendo in scena quel la stessa esperienza che lo aveva spinto a
diventare un cineasta.
Il film procede con lunghi, implacabili piani-sequenza: il fronte è invaso dalla pioggia e dal fango
che, impastati ai corpi, trasmettono il senso della tragica inutilità di ogni guerra. Questo tipo di
riflessione è proseguito con Eden (2001), che mostra il percorso drammatico per giungere al 1948,
anno di fondazione di Israele, ed è segnato dalla toccante prova d’attore di Arthur Miller, e poi
con Kedma (2002; Kedma verso Oriente), che continua la ricognizione storica inaugurata
da Eden, soffermandosi sull’approdo drammatico dei primi immigrati dall’Europa in Palestina, alla
fine della Seconda guerra mondiale.
Con Alila (2003), G. ha fatto ritorno alla contemporaneità, mettendo in scena un mosaico di storie,
ambientate in una Tel Aviv aggrovigliata e caotica, scandite per piani-sequenza: una scelta
formale voluta, in cui si materializza la tensione utopica al superamento di una realtà ormai in
frammenti. In seguito G., attraverso una nuova trilogia ispirata dall’idea delle frontiere e del loro
attraversamento, ha realizzato tre film, girati fuori e dentro Israele, in cui, nella cornice della
complessa situazione geopolitica mediorientale, emergono nuove tematiche come il traffico di

donne (Promised land, 2004), la ‘differenza’ femminile come potenziale agente di cambiamento
(Free zone, 2005), la casa come luogo di relazioni e di conflitti familiari (Disengagement, 2007,
Disimpegno), tema riproposto anche in News from house, news from home (2006), teso
documentario politico che ritorna, a distanza di ventisei anni, sulle tracce di House (1980) e dei
suoi protagonisti.
Dopo Plus tard tu comprendras (2008), tratto dal libro omonimo di Jérôme Clément, film intenso e
controverso per il confronto con la Shoah e per la necessità di trasmissione della memoria che lo
anima, G. con Carmel (2009) e Lullaby to my father (2012) ha inaugurato una nuova stagione,
tanto libera quanto personale, sia per la presenza di elementi intimi come i propri ricordi o i
membri della sua stessa famiglia, sia perché, nello stesso periodo, ha iniziato ad affiancare al
cinema un’intensa attività espositiva all’interno di musei e gallerie internazionali.
Questa nuova dimensione si è dimostrata essenziale per G. per decostruire le proprie immagini e
nello stesso tempo per poterle risignificare, ponendole in un rapporto del tutto nuovo con lo spazio
espositivo. A Bordeaux, nella base usata dai sottomarini durante la Seconda guerra mondiale, a
Parigi nei sotterranei del Palais de Tokyo, a Torino nel sottosuolo della Mole Antonelliana, a Milano
nelle sale di Palazzo Reale i frammenti del cinema di G. hanno potuto avventurarsi in una sorta di
zona franca, che ha permesso loro di riconfigurarsi in un nuovo disegno, in cui erano spesso
raccolti progetti futuri.
La riflessione teorica e politica sempre presente nel suo lavoro ha assunto una nuova forma
sostanziale in Ana Arabia (2013), girato in un unico, magistrale piano-sequenza, in un sobborgo a
rischio di sgombero di Tel Aviv. Nel film le singole storie, le singole vite, raccontano la forma
presente e concreta di un’utopia materialistica fondata sul rispetto e sull’ascolto dell’altro. Tratto
dall’omonimo testo di Aaron Appelfeld, con Tsili (2014), ancora una volta, hanno ripreso corpo i
fantasmi della Shoah e di una memoria, personale e collettiva, che G. ha sempre interrogato come
tracce ancora vive e presenti non solo nell’identità ebraica, ma nelle radici profonde di una
comune storia europea.»

Nel 1993 Gitai girò a Napoli il documentario NEL NOME DEL DUCE, sulla campagna
elettorale di Alessandra Mussolini del MSI, candidata a Sindaco della città.
Nel 2016 il regista inaugura la Stagione lirica del Teatro di San Carlo con la regia di
OTELLO di G. Rossini.
Su Napoli Gitai ha avuto modo di dichiarare:
“…A differenza di altri luoghi del mondo, dove stanno prendendo il potere persone che
puntano a limitare la libertà, Napoli è un posto interessante,

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