di Ezio Micillo
Dal 18 aprile al 21 luglio 2025 il Museo Madre di Napoli accoglie una delle mostre più sorprendenti e affascinanti della scena artistica contemporanea, quella di Tomaso Binga, intitolata “Euforia“. Un titolo che evoca un’emozione collettiva di esaltazione e gioia, ma che, allo stesso tempo, apre un dialogo profondo e complesso sulla natura dell’identità, sul confine tra il maschile e il femminile e sull’arte come strumento di liberazione personale e collettiva.
La mostra è una delle esposizioni più intriganti e audaci dell’arte contemporanea italiana, un viaggio che sfida le aspettative e le categorie tradizionali, un’esperienza sensoriale e intellettuale in cui l’arte diventa la lente per esplorare una visione fluida e dinamica dell’essere umano.



L’artista protagonista di questo evento si è dato un nome che, sin dalla sua prima apparizione, e parliamo degli anni sessanta, ha suscitato stupore e curiosità. Un intrigo che ha trovato una soluzione solo dopo la sua presentazione in pubblico.
Ma chi è davvero Tomaso Binga?
La risposta, come la sua arte, è sfuggente, provocatoria e piena di sorprese.
La sua identità è una scelta di genere e di significato, e non è un nome casuale. Dietro a questa figura misteriosa si nasconde, infatti, l’artista Bianca Pucciarelli Menna, nata a Salerno nel 1931, vive e lavora a Roma. Un’autentica pioniera dell’arte concettuale e performativa, che ha scelto un nome maschile per sfidare le convenzioni e le aspettative del mondo dell’arte. Questo atto, apparentemente semplice, è in realtà una dichiarazione di ribellione contro le strutture di potere che tradizionalmente relegano le donne al margine, anche nel panorama artistico.
Tomaso, e non Tommaso, la sua confessione è di aver rubato una emme al grande Tommaso Marinetti, il fondatore del movimento futurista, una passione, un gesto radicale di radice futurista che denuncia anni di discriminazione sessuale e di privilegi accordati al genere maschile.



La scelta di un nome maschile è stata un gesto deliberato, una strategia per smantellare gli stereotipi di genere e aprire una riflessione sul concetto stesso di identità. Con Tomaso Binga, l’artista ha creato una figura che non solo si sottrae alle etichette tradizionali, ma che diventa simbolo di una ricerca più profonda, in cui l’arte si fa veicolo per interrogarsi su cosa significhi essere uomo, donna o altro. Un nome maschile, infatti, non è solo una forma di transizione da un genere all’altro, ma anche un modo per esplorare la fluidità e la poliedricità dell’essere.



La mostra “Euforia” è un’esplosione di energia, colore e ironia. L’arte di Tomaso Binga non ha paura di sfidare le convenzioni, di mettersi in gioco e di ridefinire le regole. Le opere in mostra sono un tributo alla gioia, ma non quella gioia superficiale o edulcorata. Qui l’euforia è una forza che spinge oltre i limiti, una forza che non si ferma davanti a nulla e che utilizza l’arte come strumento per smontare le strutture di potere e le aspettative sociali.
Nel suo lavoro, Binga gioca con il linguaggio, la scrittura e le immagini in modo sorprendente. Non si limita a rappresentare la realtà, ma rompe gli schemi costruttivi e compositivi, creando spazi di riflessione che invitano lo spettatore a vedere il mondo da angolazioni diverse. La scrittura diventa un atto performativo, un gesto che non è solo verbale, ma visivo e fisico. Le parole, che solitamente sono strumenti di comunicazione, diventano materiali da scolpire, frammentare, disordinare. L’arte di Tomaso Binga si fa gioco, ma non nel senso di leggerezza banale, piuttosto è un gioco che interroga, sfida e ridefinisce le regole.



Nella sua pratica, l’artista, parla del corpo femminile come espressione di libertà attraverso la sua originale poesia visiva e le sue performance, giocando con le parole per affermare un femminismo caratterizzato da dissacrazione, umorismo, denuncia. Dopo importanti sperimentazioni di scrittura desemantizzata (segni illeggibili scritti a mano che disintegrano e azzerano il linguaggio), nel 1975 Binga crea il progetto della Scrittura vivente, una serie di opere in cui il suo corpo fotografato prende le forme delle lettere dell’alfabeto. Nuda e priva di qualsiasi connotazione sociale, l’artista si fa segno linguistico, diventa “il corpo della parola” assumendo in sé la responsabilità dei suoi messaggi e disponendosi come strumento con cui stimolare nuovi processi di apprendimento e comprensione scritti con questo alfabeto. Le lettere, i pronomi e le parole si reinventano e si interrogano per indagare il corpo e le gerarchie grammaticali e simboliche a cui esso è sottoposto.
Ma la ricerca non riguarda soltanto l’espressione estetica, ma il significato profondo che si cela dietro ogni gesto e ogni scelta. “Euforia” è un’esperienza immersiva che invita a lasciarsi andare a una riflessione sul concetto di libertà, sulla continua trasformazione dell’individuo e sulla possibilità di vivere senza gabbie, senza etichette, senza definizioni.
Uno degli aspetti più affascinanti del lavoro di Tomaso Binga è l’uso dell’ironia. L’ironia, che permea ogni suo lavoro, non è mai fine a se stessa, ma è il mezzo attraverso cui l’artista affronta le grandi questioni dell’esistenza e della società. L’arte è una riflessione critica sulla condizione umana, ma allo stesso tempo è un atto di liberazione che non si prende troppo sul serio. La sua ironia non è mai pesante o cinica, ma è sempre un invito a guardare la realtà con occhi diversi, a smontare le convenzioni con un sorriso, a esplorare la complessità dell’essere umano con leggerezza.



Il linguaggio diventa un campo di battaglia in cui ogni segno, ogni parola, ogni immagine è messa in discussione. Non c’è mai una risposta definitiva, ma piuttosto una continua ricerca di nuove possibilità, un’apertura a interpretazioni e significati plurimi. La sua arte gioca con le contraddizioni, con la tensione tra ciò che appare e ciò che si nasconde dietro la superficie, tra la verità e l’illusione. L’artista, attraverso la sua mostra “Euforia”, ci invita a riflettere sul potere dell’arte di creare uno spazio di libertà. La sua arte non è mai statica, è sempre in movimento, sempre in trasformazione.
La mostra non vuole solo essere un’esperienza estetica, ma un invito a pensare, a mettere in discussione il mondo e il nostro posto al suo interno. In un’epoca in cui le identità sono sempre più frammentate e le categorie tradizionali sembrano sempre più inadatte a descrivere la complessità dell’essere umano, l’arte di Binga ci propone una visione di un mondo aperto, fluido, in cui ognuno è libero di essere se stesso, senza paura e senza limiti.



In conclusione, “Euforia” non è solo una mostra, ma una dichiarazione di indipendenza. Un atto di ribellione contro le costrizioni sociali e artistiche, una celebrazione della libertà, della fluidità e dell’ironia che l’arte sa offrire. Tomaso Binga non è solo un nome, è un simbolo di una ricerca che non conosce confini, che sfida la realtà e invita ognuno di noi a vivere con euforia, senza mai smettere di giocare e di reinventarsi.
© Ezio Micillo, giornalista e fotoreporter